Come si sa, il settore primario in Italia è condiderato meno che zero, tant'è che coltivatori e allevatori sono soggetti a soprusi continui, specialmente qualora questi siano dei piccoli ed onesti produttori. Storie paradossali ne ho sentite molte, ma in Valmalenco è successo che più di una volta, dopo una speculazione edilizia che ha portato alla nascita di un nuovo condominio nei pressi di una stalla, il pastore sia stato esiliato perchè l'odore delle sue bestie infastidiva i proprietari quando si recavano nella loro casetta di villeggiatura quei 10 giorni scarsi all'anno!
Su questo scrissi nel 2009 un brano satirico che avevamo pubblicato ne "La voce dei Capannoni", dove ho paragonato i nostri pastori agli indiani d'America:
La riserva degli Allevatori
Fort Galinna - Gli Allevatori (dalla parola Cek che significa “nemico”) erano una popolazione assai diffusa nella Valtellina alpina. Originariamente gli Allevatori erano divisi in sei gruppi regionali, ognuno di questi era a sua volta composto da numerose bande locali il cui capo si faceva chiamare “cargamùnt”.
Gli Allevatori erano un popolo nomade (trasumavano dall’alpeggio alla stalla ogni 6 mesi), dedito alle mucche, alle capre e alle pecore. La speculazione edilizia era poco sviluppata, ma con il passare del tempo iniziarono a vendere i propi prati e le proprie stalle ai Costruttori, altra tribù nomade ma molto più evoluta; l’usanza, dopo l’avvento dei Costruttori, prevedeva che al momento del matrimonio l’uomo Allevatori si stabilisse presso un bar e sperperasse tutto il ricavato ai videopoker.
L’abitazione degli Allevatori era costituita da casa con stalla, ossia una zona riservata agli uomini e una agli animali. Generalmente le strutture venivano collocate al centro del paese. Le dimensione e l’accuratezza della costruzione variava a seconda delle bestie e dei figli da allevare.
L’intelaiatura era costituita da pietre e legni. Parte dello spazio veniva riempito con fieno e legna per l’inverno. In cima vi era un foro per far fuoriuscire il fumo, detto camino.
Spesso vicina all’abitazione vi era un’ampia struttura chiamata zocca della grassa, conosciuta anche come letamaia, la quale veniva utilizzata come deposito per le feci degli animali.
Abitualmente gli abiti degli Allevatori erano sporchi; gli uomini indossavano pure gli stivali di gomma. Le donne Allevatori avevano un ruolo importante nella vita familiare: raccoglievano legna e acqua e mungevano con eccezionale precisione.
Gli Allevatori praticavano una religione magico-sciamanica detta cattolicesimo, tenendo in grande considerazione il culto degli antenati e degli spiriti.
Alla fine del sec. XX i gruppi di Allevatori presero a integrare la loro tradizionale economia con numerose razzie contro gli insediamenti turistici e, più tardi, contro le fuoriserie dei figli di papà dirette alla loro seconda casa per i 3 giorni d’apertura annuale (ricordiamo le immani code generate dai Trattori, la loro bestia da soma).
I cattivi odori emessi dal bestiame accompagnati dai fastiodiosi muggiti e belati costrinsero i poveri Secondicasisti, che avevano da poco acquistato il loro loculo bifamiliare nel paese, a protestare con l’amministratore comunale amico del costruttore che gli aveva venduto la casetta.
Oggi, dopo le numerose multe ricevute, gli Allevatori sono stati confinati in riserve (e.g. Pra Maler e San Giuseppe) dove si spera, viste le disagiatissime condizioni di vita indotte, rinuncino ben presto alle loro attività primordiali per occuparsi nell’edilizia o nel terziario.
Il seme della follia! Poi si spacciano ai turisti prodotti tipici e tradizioni sentite... ma è tutto per vedere ancora più casette e condomini.
RispondiEliminaPerchè non si danno reali tracciabilità dei prodotti, così uno sa quello che compra e sa che i suoi soldi vanno effettivamente sul territorio e a chi il territorio lo coltiva e cura? Sono oramai in pochi a fare quei mestieri onestamente e non solo per sgraffignare contributi caricando monte con bestie asciutte. Questi andrebbero aiutati e difesi in tutti i modi!