Una guida di scialpinismo, come quella di cui vi parliamo oggi, al pari di qualsiasi altro genere di guida turistica, è un prodotto editoriale che racconta un territorio, con il fine ultimo – lo dice il nome stesso – di accompagnare il lettore a conoscerne i luoghi, le storie, i panorami, la natura, la cultura. E la gente.
Quella intitolata “Val Gerola e Albaredo - Tutte le cime con gli sci”, pubblicata dal valtellinese Beno Editore, è un volume che colpisce subito per l’accuratezza con cui è stato realizzato: corredato da molte e pregevoli foto (del bravo Roberto Ganassa, autore del libro) e da una mappa davvero preziosa, in scala 1:30.000, è caratterizzato da un formato tascabile (12x17cm) particolarmente maneggevole.
Già nella lettura delle presentazioni e dei risvolti di copertina, si percepisce di essere di fronte ad un prodotto editoriale particolarmente ben fatto, forse anche perché il suo artefice – Enrico “Beno” Benedetti – oltre ad amare la montagna, quei territori li ha nel Dna, essendovi cresciuto.
Beno è un editore libero e indipendente, e come tale ha nei lettori, nelle copie vendute, nella serietà e attendibilità del suo lavoro, nella soddisfazione di pubblicare prodotti editoriali pregevoli, la prospettiva di operare nel solco di una qualità senza compromessi.
Le guide di questa piccola casa editrice si distinguono per il rigore con cui sono redatte, per la completezza e l’utilità delle informazioni fornite, siano esse utili a scalare una montagna, a rifornirsi d’acqua lungo un tragitto, o ad acquistare un manufatto da un artigiano o del cibo da un contadino.
Il racconto dello Storico Ribelle da fastidio alla politica locale
I fatti che circondano la vicenda che ci accingiamo a narrarvi entrano nel vivo della cronaca il 21 dicembre scorso, con la presentazione ufficiale della guida, in Comunità Montana, a Morbegno. Qui, a fare gli onori di casa è Patrizio del Nero, in rappresentanza del Parco delle Orobie Valtellinesi e del comune di Albaredo.
Nell’occasione Patrizio Del Nero spende parole di elogio per l’editore e per il volume appena pubblicato, sottolineando il ruolo avuto dagli enti locali. I comuni avevano infatti deciso di acquistare chi 150 copie (il Comune di Albaredo per San Marco), chi 200 (il Parco delle Orobie Valtellinesi), 300 (la Comunità Montana di Morbegno), o addirittura 500 (i Comuni di Cosio, Rasura, Pedesina e Gerola Alta tramite l'Ecomuseo della Valgerola). Copie che, come da prassi in questi casi, vengono distribuite dagli amministratori per promuovere il territorio.
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I passaggi del testo che hanno scatenato l'ira degli amministratori. |
Tutto scorre come da copione, in questa vicenda, almeno all’apparenza, ma qualcosa sta per deflagrare, oltre l’ufficializzazione dell’uscita del volume. Passano «pochi giorni» infatti – è Beno a raccontarlo nell’editoriale del suo trimestrale “Le Montagne Divertenti”, in edicola dal 21 giugno scorso – e sul suo cellulare deflagra «come un fulmine a ciel sereno un sms in cui si parla addirittura di querela». I sorrisi e le strette di mano di quel mercoledì prenatalizio vengono spazzati via dal furore di chi non riesce a contenersi.
La querela — manco a dirlo — mai arriverà, non esistendone i presupposti, ma quel che più conta è che neanche i pagamenti delle copie ordinate – per quanto pubblicamente annunciati – giungeranno nelle casse della casa editrice. E questo nonostante i solleciti inviati via e-mail “pec” ai suddetti enti e una lettera che Beno indirizza al Prefetto di Sondrio, per denunciare l’accaduto. «Il Prefetto Scalia», scrive Benedetti nel suo editoriale, «cui mi ero rivolto inviando sostanzialmente la stessa lettera spedita alle amministrazioni, a marzo aveva gentilmente invitato i comuni e il Parco ad adempiere agli impegni verbalmente assunti (i due documenti sono riprodotti nel numero di “Le Montagne Divertenti” in edicola). Ma comuni e Parco lo hanno ignorato».
Un voltafaccia senza una ragione dichiarata
Ma cos’è stato a scatenare tanta collera nel politico valtellinese? Qual è il motivo del suo voltafaccia? Cosa ha portato i cinque sindaci e le loro amministrazioni, unitamente ai vertici del Parco delle Orobie Valtellinesi, a non rispettare gli impegni presi?
La risposta a queste domande — stando alle informazioni da noi raccolte — arriva pochi giorni più tardi, attraverso messaggi striscianti, accompagnata dai “si dice” e dai “sembra che”; poi dalle voci di corridoio, sospinte da chi non vuole — o non può — dar loro un’ufficialità istituzionale. Messaggi che rimbalzano di stanza in stanza, di bocca in bocca, nei luoghi in cui tutto si sa ma nessuno dice nulla fuori dai denti.
In questo contesto, autore ed editore decidono di mantenere un profilo basso, e lo fanno sia nell’attesa di una o di qualche risposta ufficiale (che mai arriverà), sia per capire se l’intervento del Prefetto sarebbe riuscito a sortire un risultato. Un’attesa vana, purtroppo, protrattasi sino alla fine di maggio, quando l’ultimo numero di Le Montagne Divertenti va in lavorazione. E Beno decide di vuotare il sacco, con l’editoriale da cui la situazione deflagra. LEGGI L'EDITORIALE
È la vicenda dello Storico Ribelle che ha dato fastidio
È la recente storia del Bitto - e la nascita dello Storico Ribelle - a dar fastidio
Il motivo del voltafaccia, dell’astio palesato nel diniego dell’impegno preso dagli amministratori locali, in barba all’annuncio ufficiale che ne era stato dato quel 21 dicembre, sta in alcune – poche e circostanziate – righe che quella guida contiene:
“Se oggi è il turismo a farla da padrone, le attività umane in queste valli erano un tempo legate a pastorizia e artigianato. Rinomata era la produzione dei tappeti tipici, i pezzotti, ma ancor più lo era quella del Bitto, un formaggio grasso di altissima qualità, che poteva essere conservato per anni senza perdere le proprie caratteristiche. Uso il passato, non perché non si produca più tale prodotto, ma perché ora quel nome identifica tutt’altri formaggi di matrice anche industriale, che si avvalgono di tale nomea per trascinare verso l’alto il loro prezzo”.
Un racconto crudo, reale, quello narrato dal libro, che ben riassume quanto accaduto in una provincia in cui sino agli anni Novanta il formaggio Bitto era prodotto unicamente in quel microcosmo – della Val Gerola (dove il fiume Bitto scorre) e della Valle di Albaredo – a cui la guida è dedicata.
Come ben racconta il volume, “una manovra di carattere prettamente commerciale, studiata negli anni ‘80 e applicata a partire dal decennio successivo, ha esteso l’area di produzione del Bitto fino a coprire l’intera provincia di Sondrio. Ma non solo, gradualmente si è arrivati a decretare che il Bitto Dop potesse esser prodotto senza latte di capra, senza lavorazione sul posto e addirittura dando mangimi alle mucche per aumentarne la produttività”.
Ecco così, attraverso la lettura di questi e di altri passaggi del volume (la guida è in vendita a 20€ sul web e in vari esercizi commerciali e noi ne caldeggiamo l’acquisto e la diffusione, per divulgarne la verità e comunicare sostegno all’editore) che quelle frasi non dette, quei “si dice” striscianti che hanno iniziato a circolare dopo il 21 dicembre, trovano il riscontro di ciò che ha indispettito e condotto alcuni amministratori a velate intimidazioni con la chiara finalità di far ritirare il libro dal commercio, poi alla vergognosa fuga dall’impegno preso con l’editore (la sola Comunità Montana Valtellina di Morbegno ha ritirato e pagato le copie ordinate).
Sin qui la storia di una vicenda – quella del vero Bitto originario – fedelmente riferita dalla pubblicazione, attraverso il racconto delle vicissitudini patite dai produttori di quel formaggio, dapprima spinto a mutare il nome in Bitto Storico e poi costretto (dopo aver dato lustro alla Regione Lombardia in occasione dell’Expo di Milano) a rifugiarsi nella denominazione “Storico Ribelle”, pena il rischio di severe multe per chi non rispetti il disciplinare di produzione imposto dalla Dop.
Produttori di montagna, veri come la montagna
“A ciò” – vale a dire alla suddetta deriva industriale dei mangimi, del latte di capra non obbligatorio, etc., continua la guida — “si sono fermamente opposti i produttori storici rimasti, eredi di una tradizione secolare. Questi sono usciti dal consorzio di tutela e dal 2016 hanno deciso di non chiamare più Bitto il loro formaggio, ma bensì semplicemente “Storico Ribelle”, per differenziare questo prodotto artigianale di altissima qualità dalle produzioni casearie di carattere industriale tutelate dal marchio Dop”.
Affermazioni, quelle contenute nel volume contestato dai suddetti amministratori valtellinesi, che risultano inconfutabili, in quanto puntualmente circostanziate da una cospicua rassegna stampa – locale e nazionale – che permetterebbe a chiunque lo volesse di sapere e verificare ogni vicenda di quella poco edificante storia. E di capire che qui politica e affarismo hanno tentato di uccidere non solo le tradizioni ma anche e proprio la storia di un prodotto millenario. Compiendo un attentato alla natura (per dirne una: i mangimi non sono amici della biodiversità; il pascolamento sì), alla cultura (si pensi ai millenari calecc, ricoveri in pietra, diventati non indispensabili per chi produca la Dop), alle radici di una montagna e alla sua comunità.
Raccontare questo, è evidente, dà fastidio a personaggi che, pur eletti dalla maggior parte dei propri cittadini per rappresentare loro, appaiono impegnati a tutelare unicamente gli interessi dei grossi centri di potere, dell’industria, delle lobby. Sono politici questi, che — a differenza di un editore libero e indipendente — mai parleranno chiaro a nessuno.
Quel che sta capitando in Valtellina è descritto con efficacia da queste parole: «Non voglio star qui a far inutili dietrologie», scrive Beno nel suo editoriale, «registro solo di essere stato condannato da alcuni politici amministratori della val Gerola e della valle di Albaredo poiché reo di apologia dello "Storico Ribelle", cioè del formaggio tradizionale delle loro valli!».
Beno: “Ahi Valtellina, che non t’indigni per l’arroganza del potere”
«La libertà di pensiero e di espressione», prosegue l’editore, «antidoto all'ipertrofia e all'arroganza di ogni potere, piccolo o grande, nazionale o locale, purtroppo è considerata anche in Valtellina da molti perbenisti un vezzo inutile, fastidioso e fazioso. Ma quel che è più grave è che a questa logica censoria e intimidatoria del potere ci stiamo oramai lentamente abituando. Fatti del genere, che fino a pochi anni fa avrebbero sollevato un'ondata di indignazione, oggi all'opinione pubblica non arrivano più, perché ad essi non ci si ribella più, ci si rassegna illudendosi di potere così aggiustare il mondo».
«Forse quello dello "Storico Ribelle” ad opera dei pastori della val Gerola», conclude Beno, «è stato in Valtellina l'ultimo atto di successo di ribellione al sopruso del potere. In quel nome non c'è oggi solo l'eccellenza del formaggio tradizionale delle valli del Bitto, ma c'è anche un messaggio morale: quello di non darla vinta alla mediocrità di certi formaggi che trionfano nel mercato del consumismo contraffatto e che assomigliano sempre più alla mediocrità di alcuni nostri politici che trionfano nel campo dell'amministrazione pubblica».
La cultura della mediocrità governa la Valtellina
Forse è proprio per questo, per cancellare l’ultima pietra di paragone da cui si palesa la loro pochezza (dei formaggi “altri” e dei politici), che questi amministratori vorrebbero cancellare chi — cosa o persona — sia anche solo una spanna più alto di loro. Che prospettiva ci riserva quindi il futuro? Che mediocrità e massificazione, che già pervadono la società attuale, diventino la norma.
Gerola Alta, 7 luglio 2019
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